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"Enzo Cosimi - una conversazione quasi angelica/ dieci oggetti per uso domestico"

Aggiornamento: 11 set 2021

Articolo di Margherita Celestino




Il festival Conformazioni quest’anno ha avuto tra i suoi ospiti Enzo Cosimi, coreografo

romano di fama internazionale, il quale, dopo aver condotto due intensi giorni di workshop presso lo Spazio Tre Navate, ha incontrato il pubblico il 27 maggio all’associazione Arci Tavola Tonda. Insieme a lui è presente Maria Paola Zedda, autrice del libro “Una conversazione quasi angelica/dieci oggetti per uso domestico” edito da Editoria & Spettacolo, per la collana “Spaesamenti”.


Dieci oggetti guidano il disegno che Maria Paola Zedda fa di Enzo Cosimi attraverso una lunga conversazione che trascende la dimensione del saggio e rifiuta un punto di vista cronologico, ricostruendo invece l’arcipelago dei segni – così lo chiama Maria Paola illustrando al pubblico come sia nata l’idea del libro - che caratterizzano la sua strada di artista, da cui trapela con forza la relazione tra biografia e concezione coreografica, tra personale e creativo: due punti di vista perfettamente intersecati e dunque inscindibili.

Zedda ci spiega come la lunga intervista che lei ha fatto ad Enzo alla fine si sia trasformata in un racconto attraverso i luoghi contrassegnanti le fasi importanti della sua formazione professionale, ovvero New York, Londra, Berlino; è una storia sola attraverso due voci e due punti di vista, che oggi abbiamo la possibilità di ascoltare.

Cosimi prende la parola e ci racconta del suo studio al Mudra di Bejart, poi del suo incontro con Merce Cunningham, che ha definito la fascinazione per l’architettura del balletto, prerogativa per i danzatori della sua compagnia. Quando si parla di architettura non si intende l’estetica, ma la struttura, il cominciamento del movimento - che da Cunningham apprende essere il torso e non le gambe come invece accade per i ballerini classici. La tecnica nel suo lavoro è fondamentale, ma al contempo le sue coreografie vedono mettersi in gioco molti non professionisti, cosa che all’inizio della sua carriera

rappresenta una grande novità nel panorama della danza internazionale.


Durante l’incontro vengono poi toccati diversi temi attorno cui verte la sua ricerca: primo la sessualità, presente in vari suoi lavori (Hello Kitty”, “I love my sister”), ma soprattutto in “Calore”, un’indagine sulla gioventù in cui le figure del maschile e del femminile si mescolano, i generi si fluidificano accompagnati da una dirompente forza punk; ma anche la critica al colonialismo in Africa – si pensi a “Sopra di me il diluvio”, con il suo cimitero di ossa – , oppure la società dei margini come in “Welcome to my world”. Qualcuno dal pubblico chiede a questo proposito se le scelte del suo lavoro siano volutamente politiche: “Non parto mai dal dire che faccio politica” - risponde Enzo- “non ho mai avuto questa pretesa, anche se mi rendo conto che c’è molto di politico nel mio lavoro”.

Forse siamo di fronte a una politica del subconscio, come Danila Blasi suggerisce durante la discussione, e sembra una definizione appropriata, data la lontananza abissale tra le opere di questo grande coreografo e il concetto di “messaggio”:

“Io creo un racconto astratto- risponde-, credo che sia importante che lo spettatore produca da solo il suo spettacolo, perché l’arte non va capita, va percepita”.

Dall’eros al glamour, dall’innocenza fino al tragico, continuiamo ad attraversare il suo universo poetico guidati sia dalla voce in prima persona di Enzo Cosimi che dalle attente osservazioni di Maria Paola Zedda. Arriviamo così fino all’oggi, alla “trilogia dell’Orestea” in cui la figura dell’eroe muta dall’esser stata prima - durante gli anni novanta- “barocca, muscolata e a nervi tesi”, poi, con la ripresa dell’opera in tempi recenti, “sfaldata, rotta e diroccata”. Così si attua un passaggio importante, che riguarda prima di tutto il corpo, quello dal muscolo al nervo:


“Il muscolo è lento, il nervo, invece, permette di velocizzare”, di andare diretti all’essenziale, vicini allo scheletro, e di abitare più la stasi e meno il movimento, come ad esempio in “Sciame”, in cui è presente addirittura una coreografia delle palpebre.

Arrivano dal pubblico altre domande sul rapporto con la luce e col suono a cui entrambi rispondono citando l’importanza di alcune collaborazioni come quella con il “luciaio” (come lui stesso si definisce) Gianni Staropoli o con il compositore Chris Watson. La relazione con la musica è fondamentale, “con essa si deve instaurare una vera e propria empatia”, dice Enzo.

L’incontro prosegue poi con un dibattito sulla figura del danzatore oggi, si ridiscute anche il sistema dei bandi e delle residenze, che sembrano a volte l’unico modo per immettersi nel sistema della danza d’autore, un meccanismo che oggi sembra stretto rispetto alla libertà che c’era prima; è un confronto tra passato e presente ad ampio raggio con un artista con più di trent’anni di esperienza sul campo e la sua ormai storica assistente e organizzatrice (nonché performer, ricercatrice e danzatrice), adesso anche scrittrice di questo libro che è una preziosa testimonianza di un lungo tempo di attività.

Quella di Enzo Cosimi è una ricerca costante, nella vita e nell’arte, spinta da un senso agambeniano di “contemporaneità-inattualità”, di spaesamento necessario e successivo riorientamento, che insieme creano nuove visioni di immaginario in cui lo spettatore si ritrova spesso ad abitare paesaggi antitetici e spiazzanti. L’equilibrio si realizza attraverso il caos, la luce si scopre nel buio, ma anche il buio stesso fa da materia per la creazione, come l’onirico si trova alla base della realtà.


“[…] ll contemporaneo non è soltanto colui che, percependo il buio del presente, ne afferra l’inevitabile luce; è anche colui che, dividendo e interpolando il tempo, è in grado di trasformarlo e di metterlo in relazione con gli altri tempi, di leggerne in modo inedito la storia, di “citarla” secondo una necessità che non proviene in alcun modo dal suo arbitrio, ma da un’esigenza a cui egli non può non rispondere […]”.

(Cit. Giorgio Agamben)


foto di Marco Caselli dallo spettacolo "Calore"

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